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ASPETTANDO LA QUINTA EDIZIONE...

 

 Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post

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rma.roby

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MessaggioTitolo: Re: Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post   Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post - Pagina 16 EmptySab Apr 20, 2013 6:47 pm

Non so, il mio era un dubbio! XD Pensandoci non sembre un errore, solo che non l'avevo mai trovato, ma se è giusto... è giusto e oggi ho imparato una cosa nuova! XD cheers
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MessaggioTitolo: Re: Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post   Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post - Pagina 16 EmptyDom Apr 21, 2013 5:49 pm

Dunque... non so se va bene, ma l'idea che mi è venuta per sottolineare che si tratta di una riflessione introspettiva/psicologica è questa:

Scappai perché nulla aveva senso, nemmeno quella fuga rocambolesca. Scappai, perchè non trovavo più il senso del mio essere. Scappai, fuggii, rincorsi la mia vera identità. Rincorsi, cercai di afferrare e fermare il vero Marco. Scappai, rifugiandomi in quella stessa fuga. In me.

...e poi continuare con il pezzo di Marco: Ho visto i più alti spiriti della mia generazione sgusciare via da strutture universitarie in acciaio vetro cemento per attraversare come meteore liquide il firmamento delle glorie tramontate del lavoro coatto e dell’alienazione cartacea e deforme, poi cadere rovinare seppellirsi fino alle spalle sotto litri e litri di vergogna infangata da capoufficio traballanti, contratti senza margine e senza valore, tirocini deformativi in locali tappezzati dei manifesti della rivoluzione studentesca, senza mai urlare né guardare, scorticare o piangere le formazioni accademiche sfumate via nel passato rapace che tutto ingurgita e nulla tace; addio fiordaliso, addio, non c’è niente di più conturbante delle profondità del tuo sguardo color della notte, niente di più lancinante delle altre cose che ho strappato e mai avrò di te, e rimarrò seduto sotto le fierissime mura del palazzo del tuo cuore, con gli occhi ciechi bruciati a implorare il folle guardiano.
Resterò, fino alla fine di sempre, zoppo dell’amore lusinghiero e infido e nero.
Addio.


Cosa ne pensate? Secondo voi può funzionare? Se non vi piace ditelo senza problemi! Very Happy
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MessaggioTitolo: Re: Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post   Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post - Pagina 16 EmptyDom Apr 21, 2013 5:57 pm

Secondo me funziona benissimo, solo che nella prima parte ci sono troppe ripetizioni, per enfatizzare va bene se ne lasci qualcuna, ma i due rincorsi non mi convincono...
Per il resto sta veramente bene Very Happy
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MessaggioTitolo: Re: Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post   Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post - Pagina 16 EmptyDom Apr 21, 2013 6:08 pm

Quindi togliamo il secondo "rincorsi"? Forse a quel punto ci sta meglio un'unica frase, così: Scappai, fuggii, rincorsi la mia vera identità, cercai di afferrare e fermare il vero Marco.
Può essere? Very Happy
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MessaggioTitolo: Re: Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post   Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post - Pagina 16 EmptyDom Apr 21, 2013 7:30 pm

Secondo me va bene, ma
1) di chi era il pezzo che-a quanto ho capito-è stato editato? Avvisalo Smile
2) hai cambiato molte parti o solo quella frase?
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myosotis

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MessaggioTitolo: Re: Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post   Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post - Pagina 16 EmptyDom Apr 21, 2013 8:34 pm

Simona 2.0 ha scritto:
Secondo me va bene, ma
1) di chi era il pezzo che-a quanto ho capito-è stato editato? Avvisalo Smile
2) hai cambiato molte parti o solo quella frase?
credo che il pezzo sia il mio...e penso che sì,vada benissimo con la modifica di rma così il pezzo si riallaccia meglio con quello di marco Very Happy senza ripetizioni però...
per quanto riguarda il"era un pò quello che volevo"(credo sia sempre il mio pezzo)intendevo che era quello che voleva marco ma data la sua indecisione era come se una parte lo volesse e una no...non so se vi è mai capitato...xD
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Simona 2.0

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MessaggioTitolo: Re: Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post   Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post - Pagina 16 EmptyLun Apr 22, 2013 2:38 pm

Ragazzi ditemi in definitiva quali modifiche bisogna apportare, visto che Mino mi ha chiesto di inviargli l'intero racconto con il finale (il tutto editato)
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MessaggioTitolo: Re: Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post   Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post - Pagina 16 EmptyLun Apr 22, 2013 4:00 pm

Io non ho editato un pezzo scritto da qualcuno! E' un pezzetto che ho aggiunto io, come tentativo di specificare meglio che il post di Marco era una riflessione introspettiva. Very Happy Non volevo cambiare quello che aveva scritto qualcun altro senza avvisare! XD

Oltre a quello avevo fatto alcune osservazioni (ma quel post l'avevi già commentato). Quindi... dite se in definitiva va bene le frasi che ho proposto. Myosotis, ho capito il senso di quel "un po'". Ok, quindi mi pare restasse solo un errore grammaticale... Very Happy
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MessaggioTitolo: Re: Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post   Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post - Pagina 16 EmptyLun Apr 22, 2013 4:20 pm

Se approvate la mia modifica, il racconto risulta così. Very Happy

La spiaggia era quella di sempre. I ciottoli neri che per tante stagioni erano stati testimoni della mia adolescenza ancora una volta luccicavano al chiarore della luna. Pochi minuti ancora e il sole dell’alba avrebbe accarezzato i nostri corpi stanchi ed assonnati, rannicchiati sotto il plaid colorato. Fredda era stata la nostra estate. L’ultima.
Stava finalmente terminando l’ultima notte delle nostre maledette vacanze: desideravo solo ripartire e scappare da lei e da quel piccolo paese calabrese della costa tirrenica dove mi ero sentito soffocare.
Tre settimane prima io e Flora, la mia ragazza di sempre, eravamo partiti da Orvieto con la speranza di ritrovarci.
Tre settimane di discussioni, di paure e di notti insonni.
Il sole iniziava ad essere alto. I miei occhi erano stanchi, gonfi per le lacrime versate tutta la notte. Flora, che non si dava per vinta, si strinse ancora più forte a me. Cercò le mie labbra per un improbabile bacio. Allora avvertii la sua disperazione dalle mani tremanti, le stesse che un tempo mi bastavano per essere felice. Un po’ alla volta, sentivo il suo abbraccio farsi sempre più debole e avere in sé il sapore della sconfitta e della delusione per un altro rifiuto. Sicuramente l’ultimo.
Basta, non resistevo più. Ormai non sentivo più niente per la donna che fin dagli anni del liceo avevo amato e desiderato più di qualunque altra, Dio solo sa quanto.
Ma la mia mente era già altrove. I miei sensi erano inesorabilmente rapiti da lui. Il pensiero di rivederlo non mi dava pace.
Ritornare a casa e confessare alla mia famiglia che ero diventato un “diverso” mi dilaniava e allo stesso tempo mi esaltava. Continuavo a chiedermi se diverso lo ero sempre stato o se lo ero diventato dopo aver incontrato lui.
Mio padre m’aveva sempre detto che studiare non mi sarebbe servito a nulla.
Ma lui era un vecchio campagnolo, una di quelle persone che è impensabile stare ad ascoltare. Ripeteva: “il cervello non serve a nulla, figliolo, le palle, sono le palle quelle che servono per sopravvivere a questo mondo!”
Possibile. Ma queste tanto rinomate “palle” non le aveva neanche lui. Aveva solo le braccia. Braccia per lavorare, per costruire una famiglia e un futuro.
Anche riguardo al futuro aveva idee sue, idee balorde da contadino, come la convinzione che a nulla serva lo studio, bensì solo il duro lavoro, così come la famiglia e i figli; convinzione che presto però m’aveva spinto tra le braccia del presunto amore della mia vita; quella ragazzina piccina, tanto bella, non fosse per quell’ustione violenta al viso…
Se lo avessi ascoltato forse sarebbe stato meglio.
Niente università, solo olio di gomito. Niente libri, niente professori… né quel professore. Né le sue labbra, né la sua voce.
Né sogni a turbare quelle notti che prima m’avevano sempre taciuto.
Ecco, a dirla tutta, la bocca ai sogni l’avevo tappata io perché parlavano troppo.
I bambini di solito hanno paura del mostro sotto il letto, io di notte temevo un uomo nel mio letto. Lo vedevo entrare sotto le lenzuola che mia madre aveva già da ore rimboccato e me le scompigliava tutte, voleva delle cose brutte da me, le stesse cose che una volta avevo visto fare a papà nel bagno. Quell’uomo credevo fosse l’uomo nero che la nonna mi diceva abitasse in cantina, ma se avessi raccontato che lo sognavo così spesso mi avrebbero dato del fifone. In ogni caso, pensandoci ora, aprire la bocca sarebbe stato sconveniente.
Solo con Flora lui stava zitto, credevo avesse paura del mio amore per lei oppure che non gradisse granché i suoi seni. I suoi seni così morbidi avrebbero spaventato chiunque, potevi solo tremare all’idea di toccarli.
Non voglio più tremare, adesso.

Ciò non toglie che fu difficile, dannatamente difficile, separarmi da lei, nonostante non potessi più chiamare “amore” quel dolce sentimento che, inesorabilmente, ci teneva allacciati.
Non ne sono sicuro, ma immagino si trattasse di quello strano senso di affetto che l'abitudine, dopo un po', inculca nella testa alle persone che un tempo sono state innamorate, e che hanno giurato all'amante di rimanerlo per tutta la vita.
Ancora ricordo quei grandi occhi verdi, luminosi di lacrime e tenerezza, speranza e sofferenza, quando, con coraggio -e probabilmente poco tatto-, le dissi che pensavo di essere omosessuale.
Parlavo, cercavo un appiglio, una scusa, un qualcosa, ma la voce mi si spezzò in gola all'udire quelle dolci e straziati parole provenire dalle sue labbra; quelle parole che, più ancora delle note d'amore pronunciate nei momenti dell'estasi suprema, per sempre porterò nella mia anima:
"Allora, non mi vuoi più bene?"
Ma come nell'anima porto quella sua domanda, ancora non dimentico i minuti che seguirono. Cosa dovevo risponderle? Dirle la verità le avrebbe spezzato il cuore, mentirle sarebbe stato un doppio peccato. La baciai un'ultima volta sulla guancia, e quel bacio aveva un sapore agrodolce, come un'arancia non ancora matura. Uscii dalla camera, senza dirle niente. Lei non provò a fermarmi: come fareste voi a fermare un fiume che rompe gli argini, la pioggia che picchia sui vetri delle finestre con un suono simile alle note acute di un pianoforte, un tornado che porta via con sé tutto ciò che incontra per strada? Io, in quel momento, certo non ero arrabbiato, e non ero carico di distruzione come quegli elementi, ma, come loro, sapevo bene qual era la mia strada. E dove essa mi portava: in stazione, per tornare là dove volevo essere; dalla persona con cui davvero volevo stare. E sapevo che, sceso dal treno, l'avrei trovato là ad aspettarmi.

“Ciao”.
Adoravo la sua voce. Era così calda, sensuale, forte come le braccia che subito mi strinsero. Mi ricordavano tanto quelle di mio padre, ma certo i muscoli di Evan mi attiravano molto di più.
“Pronto per partire?”
Annuii. Mi liberò dalla stretta e mi diede una pacca sulla spalla. Mi sussurrò all’orecchio delle parole, ma il fischio del treno le mangiò.
Salimmo in macchina. Quasi sprofondai nel sedile vecchio e consunto della Fiat Punto, ma mi piaceva quell’ambiente accogliente nel quale i nostri corpi potevano sfiorarsi senza che dessi libero sfogo ai miei desideri più intimi.
Non sapevo dove mi stesse portando, ma con lui sarei andato anche in capo al mondo.
“Siamo arrivati”, annunciò non appena vedemmo la costa che si stagliava all’orizzonte, subito dopo un tornante. Una spiaggia, questa volta di sabbia fine.
A quanto pare è destino che le mie storie abbiano sempre il mare come testimone.
Scendemmo dall'auto e lui mi sorrise incoraggiante, invitandomi a seguirlo: era così evidente l'ansia che stavo provando? Cercai di sorridere a mia volta, seguendolo sulla spiaggia, affondando le scarpe in quella soffice sabbia.
"Ti piace il mare?" chiese.
“Beh…” iniziai, scrollando leggermente le spalle " Sono cresciuto in campagna… e ci vado solo d'estate, con Flora..." Quasi mi morsi la lingua per aver nominato il suo nome.
“Sì, me la ricordo…Me l’hai presentata un po’ di tempo fa.”
Si voltò a guardarmi dritto negli occhi. “E come sta? Non eravate partiti insieme?”
Lo avevo informato del breve viaggio che avevamo intenzione di fare, ma ero stato molto vago… Poi, all'ultimo momento, gli avevo chiesto di venirmi a prendere in stazione.
“In effetti…ci siamo lasciati.” Evan assunse un’espressione di sorpresa.
“Oh…Mi spiace. Stai bene, vero?”
“Io…” lo interruppi. Questo sembrava il momento giusto per essere chiari con lui.
All'improvviso però venni sconvolto da un freddo brivido d’incertezza. Il vento e la salsedine sulle mie guance accennavano piccole carezze, io non pensavo a nulla, ero quasi assente. Lui mi guardava ed io sorridevo.
Non capivo più niente, a momenti non sapevo cosa dirgli, più la sua calda voce si avvicinava alle mie orecchie, più io mi sentivo diverso, mi sentivo me stesso. Decisi che era il momento di confessare tutto.
Da dove cominciare? Osservai attentamente la sua mano indugiare in una tasca della giacca marrone, e poi nell’altra, finché non trovò un pacchetto di fiammiferi e uno di Marlboro. Sorrisi al pensiero che probabilmente fosse l’unico fumatore al mondo a non possedere un accendino. Tirò fuori dal pacchetto bianco e rosso una sigaretta e l’accese. Inspirò.
“Lo sai che il tuo silenzio vale più di mille parole, vero Marco?” Domandò, dopo aver elegantemente soffiato fuori il fumo.
Percepii un brivido alla schiena sentendo come pronunciava il mio nome con quel suo velato accento straniero.
“Credevi che non l’avessi capito?”
Continuavo a starmene zitto, lì a pochi passi da lui. I miei occhi, fissi sul cerchietto appeso al suo lobo sinistro, si spostarono poi sulle labbra che sfioravano appena il filtro giallo della sigaretta. Ricordavo ancora le emozioni del primo giorno di corso, quando le risatine delle mie colleghe avevano sancito l’approvazione di quel giovane professore.
Infine si voltò e mi sorrise.
“Immagino tu voglia una risposta da me, a questo punto”
Mi poggiò una mano sulla spalla.
Fu lo stesso tocco che mi sorprendeva nei mesi prima, durante le ricerche a casa sua. Appoggiava la mano sulla mia spalla quand’ero colto dalla stanchezza e negli ultimi minuti prima di congedarci.
Aver accettato di svolgere una ricerca universitaria al suo fianco aveva aumentato la mole di studio, ma mi ero entusiasmato sin dal principio. Ricordo con dolcezza i pomeriggi di ricerche: trascorrere con lui quel tempo mi aveva permesso di scoprire un tesoro luccicante nel suo animo. La cultura, gli ideali e tutto il sapere che mi regalava gli conferivano fascino e giovinezza. Evan descriveva il mondo antico come se l’avesse vissuto, come se fosse stato il confidente delle grandi personalità del tempo. Non mi arrestavo mai dal porgli domande, anche indiscrete come… come l’amore greco. Indiscrete, ma a suo parere perspicaci. Anche lui si era affezionato a me, lo sospettavo.
Ora bramavo solo di sfiorare la sua mano con la mia.
Gettò il mozzicone di sigaretta nella sabbia, affondandolo con il piede. Io lo guardai negli occhi, quegli occhi neri come il cielo notturno in cui vedevo le fiamme ogni volta che mi rivolgeva uno sguardo. Sentii nel mio cuore uno strano tepore: non sapevo esattamente cosa fosse, forse amore, oppure semplice ammirazione. No, certo che no! Era molto di più.
Avvicinò una mano alla mia guancia e cominciò ad accarezzarmi con il pollice. Mi si accostò, chiudendo gli occhi. Li chiusi anch'io. Era a pochi centimetri dalle mie labbra, i nostri respiri erano uno solo, le sue labbra calde toccarono le mie delicatamente.
Il nostro fu un bacio semplice e casto, le nostre labbra si toccarono appena.
Baciando Flora, le prime volte, avevo sempre avuto la mente sgombra. Nessun pensiero a punzecchiarmi, solo una grande sensazione di morbidezza.
Ora, con la bocca gentile di Evan premuta contro la mia, non riuscivo a creare il vuoto nella mia testa. Mille ricordi -sì, di Flora- mi invadevano il cervello, impedendomi di godere appieno di quel contatto che avevo tanto desiderato. Quando il professore si allontanò da me, ebbi l’impressione di avere immaginato tutto.
Lo fissai un attimo, disorientato. Non mi sarei mai aspettato che agisse in quel modo, non avrei mai sospettato che lui, che davvero lui…
Ma non avevo sognato tutto, non era possibile: sentivo sulle labbra la freschezza del suo bacio che s’amalgamava alla brezza salmastra, e sul viso ancora il ruvido contatto della sua pelle.
Mi portai una mano alla bocca, senza parlare. Evan rise.
“Io… io non credevo che…”
“Marco, ascoltami.” Mi interruppe lui “Ci sono delle cose che dovrei spiegarti…”
Forse fu da quel particolare che mi resi conto che c’era qualcosa che non andava, oppure dalla risata, troppo lunga e troppo soddisfatta.
O forse fu dal modo in cui mi guardava, come se fossi un acquisto raro che si era appena accaparrato.
“Sì… decisamente” balbettai “Insomma, lei…come ha capito che…”
“Capire è il mio mestiere, ma la parte che adoro davvero è mettere a frutto quello che capisco.”
Si inumidì le labbra, le stesse che fino ad un attimo prima erano premute sulle mie. Un attimo o un secolo?
“Stai tranquillo, nessuno lo saprà mai, se accetti di collaborare ad un esperimento.”
Una strana sensazione investì le mie vie respiratorie- come se tutta l’acqua che si infrangeva ritmicamente sulla spiaggia si fosse incanalata all’improvviso nella mia trachea.
“Non credo di capire.”
“E io che ti credevo uno dei più svegli del corso.”Fui colto da uno stordimento improvviso, come se il mondo avesse preso a girare vorticosamente. “Non sei né il primo a essere incappato nella trappola né tantomeno il più carino” Mi afferrò il mento con tono canzonatorio “Ma si può contrattare. Ti ho accennato ad un esperimento, no?”
Sorrise, quasi ridendo tra sé.
"Ti sei mai fermato a riflettere su cosa siano i sentimenti? Beh, lascia stare l'anima, il cuore e tutte quelle cose là. Quello che noi chiamiamo sentimento altro non è che un insieme di impulsi nervosi e ormoni. Ora, con tutte le forme di energia che l'uomo sfrutta, perché dovrebbe ignorare proprio questa? " mentre parlava allungò una mano per accarezzarmi di nuovo. Mi scostai, ora inorridito dalla sua vicinanza.
"Aspetta, lasciami finire. Diciamo che questo esperimento si basa su uno scambio di favori... e di piaceri. Tu desideri la mia persona e io credo che cose di questo genere accadano continuamente nel mondo. Io faccio questo favore a te e in cambio ne ricevo un altro. Si crea così una specie di rete destinata ad espandersi... Potenzialmente potrebbe coinvolgere tutto il mondo!"
"Lei vuole solo sfruttare i sentimenti per rendere schiavi gli altri! Io... io..."
"Mi consideri un mostro, vero? Dammi almeno il tempo di illustrarti quel che ti chiedo".
Un turbinio di emozioni, sensazioni e immagini mi investì la mente e il corpo: ero tentato di girarmi e fuggire da quel sogno distorto, correre lontano, prendere il treno e tornare in città.
Sarebbe però stato un inferno rivedere gli occhi di Flora per non parlare della reazione che avrebbe avuto mio padre: “Ecco, il mio unico figlio un frocio doveva essere! Ah, ma lo sapevo io che tu dovevi rimanere qui, nella tua campagna! E invece no, dovevi studiare, dovevi andare all’università per prendere un pezzo di carta e diventare ricchione! Ma cosa ho fatto di male per meritarmi questo? Razza di…” Ed è meglio fermarsi. Inoltre non sarebbe stato tanto più facile sopportare i visi stupiti degli amici e le risatine maliziose della gente in facoltà.
In pochi secondi l’unica domanda che restava nella mia mente era una sola.
E la risposta sembrava scritta in quegli occhi ormai diventati quasi insopportabili.
“Cosa vuoi da me?”
"Semplice. Marco, io ho bisogno di te e tu ne hai di me. Cosa c’è di male nell’aiutarci a vicenda?”
“Sia chiaro.” Il mio tono si fece più freddo e, davanti a me, l’Evan dei miei sogni tanto taciuti, dei sentimenti soffocati così a lungo, delle notti passate a tormentarmi per quell’amore sbagliato, si sgretolava ad ogni parola. Mi sembrava di stare di fronte a un estraneo adesso: fino a pochi minuti prima, invece, Evan era la persona che credevo di conoscere più a fondo; ma l’avevo immaginato diverso da quello che era.
“Ti chiedo solo di venire da me qualche volta a settimana e di lasciare che io misuri alcuni livelli del tuo organismo in particolari situazioni. Si tratta di piccole ventose che collegherò in alcuni punti del tuo corpo e poi un prelievo del sangue. E in cambio mi avrai, completamente tuo, Marco.”
Completamente tuo. Rabbrividii.
“Cosa vuoi?” ripetei, ma in silenzio e a me stesso, questa volta. Cosa volevo realmente?
Mentre quella domanda rimbombava inutilmente nel mio cranio, aprii la bocca e trovai una voce troppo arida per pronunciare alcunchè. Succede, quando vedi le tue aspettative polverizzarsi. Diventano polvere anche le corde vocali.
"Quali situazioni?"
Completamente tuo. Completamente tuo, Marco...
La sua risata danzò sinistra nell'ombra di una giornata che si scuriva sempre più in fretta. Quando mi rispose, avvertii nella sua frase tutta la malizia che m'ero abituato a riconoscere, in facoltà, anche nei concetti che si direbbero meno ricchi d'interpretazioni, più insospettabili. Ma era macchiata, da quel che d'incapibile che aveva l'uomo davanti a me, una marionetta, la brutta copia dell'Evan che avevo imparato ad apprezzare.
"Non riesci proprio a immaginarle?" mi canzonò, un sorriso demoniaco sulla piega delle labbra... Le sue labbra... Promesse mute, ben poco caste.
Mi guardò, prima di allontanarsi - "Sai dove trovarmi" - i suoi occhi neri erano più imperscrutabili del mare.
Restai lì. Ancora una volta, alla deriva. Un relitto...
Cosa vuoi?

Allora capii, o meglio, ammisi a me stesso ciò che avevo sempre voluto.
Fissai il mare, perfino le onde sapevano la mia risposta.
Evan si era allontanato, quando si girò, anche a quella distanza vidi un lampo di consapevolezza sul suo volto.
Risi, sciogliendo la tensione nervosa che avevo accumulato, sentendo l'odore di salsedine scendermi in gola, fino ad invadermi i polmoni. La risposta era così, dolce e dolorosa, invadente come il vento che agitava le onde.
E se me ne fossi pentito? Ero pronto ad accettare tutto ciò che quel "sì" comportava?
Erano state le risposte a queste domande a fermarmi. Avevo paura di affidarmi totalmente a lui, di rimanerne ferito, come tutti i soliti innamorati. Strano, con Flora non avevo mai avuto tutta quest'incertezza, forse ero convinto che per lei fosse impossibile ferirmi, nella sua estrema e romantica delicatezza.
Dovevo fidarmi, o sarei rimasto nella prigione grigia dell'indecisione per troppo tempo.
In fondo, la soluzione non poteva essere più semplice.
Così feci quello che ero in grado di fare meglio: improvvisare. Sapevo così bene dove andare. Preso da un fervore febbricitante abbandonai la spiaggia e le sue onde leggere. Corsi giù per la strada a perdifiato. Non avevo la macchina ma ero ancora in tempo per il treno, l'ultimo di quella giornata. Arrivai senza nemmeno accorgermene, uscii dalla stazione e fui immediatamente travolto dall'odore penetrante della città. Le ombre della notte iniziavano a sciogliersi sull'asfalto e le luci al neon dei locali si accendevano ronzando. Mi infilai in un vicolo che conoscevo fin troppo bene e bussai alla prima porta a sinistra.
C'era odore di urina, odore di urina e di pesce fritto in quel vicolo e quello strano sapore di bagnato che di notte entra nei vestiti e si attacca alla pelle.
Forse sarei dovuto scappare, forse mi sarei dovuto davvero girare e andarmene, ma i pensieri sembravano crollare come un castello di carte e avevo il fiatone pur avendo le gambe inchiodate all'asfalto. E mentre tentavo di controllare i conati di vomito che iniziavano a salire come l'alta marea, la porta si aprì.
Il suo orecchino brillò alla luce sinistra della notte ed il suo sorriso mi pugnalò in pieno petto. La grande nausea.
Dentro era tutto veramente buio e confuso, ora sentivo il corpo di Evan che premeva il mio contro la semplice parete.
In quel momento tutti gli incubi, le paure, le incertezze, i sogni erano rinchiusi lì nel buio profumato di quella stanza. Era impossibile fare altro, pensai, e pur avendo mille domande senza alcuna risposta non mi fermai, non perché credevo che fosse la cosa più giusta da fare ma perché sapevo che in fondo era un po’ quello che volevo.
Quante cose mi venivano in mente, anzi no, mi vennero in mente solo dopo, quando mi resi conto che avevo fatto quello che avevo fatto e che, per qualche nascosta ragione, ero convinto che l’esperimento non aveva avuto luogo.
Alla vista di Evan che giaceva tranquillo accanto a me fui travolto dal panico: cosa nascondeva quella notte? E quel gesto senza più alcun senso?
Chiusi la porta e scappai da ogni cosa: dal dolore di Flora, dalla gioia di vedere Evan, dal terrore dell’esperimento, dalla stanza buia, dalla mia diversità, da quella folle notte.
Scappai perché nulla aveva senso, nemmeno quella fuga rocambolesca. Scappai, perchè non trovavo più il senso del mio essere. Scappai, fuggii, rincorsi la mia vera identità, cercai di afferrare e fermare il vero Marco. Scappai, rifugiandomi in quella stessa fuga. In me.
Ho visto i più alti spiriti della mia generazione sgusciare via da strutture universitarie in acciaio vetro cemento per attraversare come meteore liquide il firmamento delle glorie tramontate del lavoro coatto e dell’alienazione cartacea e deforme, poi cadere rovinare seppellirsi fino alle spalle sotto litri e litri di vergogna infangata da capoufficio traballanti, contratti senza margine e senza valore, tirocini deformativi in locali tappezzati dei manifesti della rivoluzione studentesca, senza mai urlare né guardare, scorticare o piangere le formazioni accademiche sfumate via nel passato rapace che tutto ingurgita e nulla tace; addio fiordaliso, addio, non c’è niente di più conturbante delle profondità del tuo sguardo color della notte, niente di più lancinante delle altre cose che ho strappato e mai avrò di te, e rimarrò seduto sotto le fierissime mura del palazzo del tuo cuore, con gli occhi ciechi bruciati a implorare il folle guardiano.
Resterò, fino alla fine di sempre, zoppo dell’amore lusinghiero e infido e nero.
Addio.
Fu questa l’ultima parola che pronunciai prima di compiere, tra le lacrime, un gesto che tutt’ora non mi perdono.
Tornai controvoglia in quello stesso vicolo, determinato a risolvere il problema per la prima volta in vita mia.
Era stato lui a chiamarmi, lui mi aveva dato ancora una volta l’occasione per fare ciò che mai avrei pensato di fare.
Ad un semplice tocco della mano la porta si aprì, svelando nella penombra la figura di Evan, seduto a gambe incrociate sulla poltrona al centro della stanza.
“Ti stavo aspettando” disse, mentre un ghigno si disegnava lentamente sul suo volto.
Rimasi sulla soglia, incredulo di aver avuto il coraggio di presentarmi nuovamente lì, a casa sua, dopo ciò che era successo.
Portò il whisky alla bocca lentamente, senza smettere di osservarmi accigliato. I cubetti di ghiaccio tintinnavano scontrandosi ad ogni sorso.
“Accomodati” sussurrò indicando il divano accanto a lui.
Finalmente mi mossi. Mi sentivo una marionetta che obbedisce ad ogni comando del padrone, in sua balìa.
Accese una sigaretta. Mi accorsi che eravamo al buio osservando il rosso del tabacco che bruciava.
“Perché mi hai chiesto di venire?”
“Scommetto che saresti venuto lo stesso, non è vero? Di cosa vuoi parlarmi?”
Mi capiva al volo. Con lui mi sentivo sempre con le spalle al muro. Forse l’unico modo per uscire da quella situazione era fare qualcosa di cui entrambi ci saremmo stupiti.
“Vuoi qualcosa da bere?”
“Un thé”
Lo seguii in cucina. L’idea mi venne all’improvviso. Un rumore sordo ruppe il silenzio della casa, presi con cautela l’oggetto caduto e lo rigirai tra le mani, contemplandolo.
“Allora, mi aiuterai con l’esperimento? So che vorresti ripetere l’esperienza dell’altra volta, non mentire a te stesso… ti chiedo solo di poter applicare delle ventose sul tuo corpo. L’esito dell’ultimo esperimento ha dato dei frutti, ma mi serve un’ulteriore verifica per poter procedere. Poi… beh, vedremo. Potresti non servirmi più, ma se proprio non puoi fare a meno di me, ti concederò di diventare mio assistente”.
Scoppiò in una fragorosa risata, sicuro di avere il controllo della situazione.
Ma ero io ad avere il coltello dalla parte del manico… letteralmente.
I miei passi rimbombavano incerti sulle mattonelle, la sua schiena era sempre più vicina, sentivo il suo odore, ero a pochi centrimetri da lui… un colpo netto, senza esitazione, un altro colpo, ancora, e ancora… Mi fermai solo quando il suo corpo si accasciò al suolo con un solo gemito, rovesciando il pentolino al quale si era aggrappato. Il suo braccio divenne rosso, ma ormai poco importava.
Portai il coltello con me: un trofeo, la prova che da allora in poi avrei potuto tutto.

Come quella sera, anche ora rigiro la lama tra le mie mani. Come quella sera voglio dimostrare che posso tutto, anche all’interno di queste tre mura, dietro la grata. Come quella sera voglio fare una pazzia. Come quella sera sono pronto a trafiggere un corpo da parte a parte, questa volta per capire cosa ha provato Evan.
Addio.
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Simona 2.0

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MessaggioTitolo: Re: Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post   Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post - Pagina 16 EmptyLun Apr 22, 2013 5:18 pm

Secondo me va bene... Invio, che dite? Smile
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Disinfinito Cinque

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MessaggioTitolo: Re: Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post   Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post - Pagina 16 EmptyLun Apr 22, 2013 5:52 pm

si si riallaccia meglio, una sola cosa c'è nel pezzo di marco "cadere rovinare seppellirsi..." non credo che sia proprio giusto...
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Alessandro Marabitti

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MessaggioTitolo: Re: Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post   Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post - Pagina 16 EmptyVen Apr 26, 2013 7:37 am

anche per me va bene!
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MessaggioTitolo: Re: Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post   Scrivoanchio in rete 2013: discussione sui post - Pagina 16 Empty

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